Leggiamo Matteo 21, versetti da 28 a 32.
Il messaggio odierno è un messaggio che possiamo definire semplice, di incoraggiamento, che punta a sottolineare una verità semplice, basilare della fede, che però è sempre bene ricordare, anche perché le logiche che dominano il nostro mondo, per quanto i tempi siano cambiati rispetto a 2000 anni fa, restano ancora del tutto opposte rispetto a quelle di Dio, e questo, in qualche misura ci condiziona: è giusto ricordarlo e stare conseguentemente in guardia.
A chi stava parlando qui Gesù? Egli si trova a Gerusalemme, era da poco entrato trionfalmente in città. Nel paragrafo precedente è scritto, al v.23, che entrò nel tempio e che fu interrogato dagli anziani del popolo e dai capi dei sacerdoti, perciò possiamo supporre che il suo uditorio fosse composto da queste persone anche nel brano successivo, che è quello che abbiamo appena letto. Gesù stava dunque parlando a persone in vista della società, a persone che si trovavano ai vertici dell’apparato religioso dell’epoca: gli anziani del popolo e, addirittura, i capi dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme, il luogo in cui si concentravano le guide religiose della società.
Quello che dice Gesù a queste persone ha una portata dirompente. Vediamolo più nel dettaglio, anche se, ripeto, le parole sono molto chiare, non necessitano di particolari spiegazioni.
Nella parabola raccontata, il primo dei figli dice “sì vado”, ma poi non va: egli è fedele solo a parole, ma poi nella pratica si dimostra tutt’altro.
Il secondo dice “no, non vado”, ma poi si pente – è scritto così, parola estremamente importante – e va. È irriguardoso nei confronti del padre con le parole, ma poi si accorge che ha sbagliato, si ravvede e va a lavorare.
“Chi ha fatto la volontà del padre?”, chiede Gesù.
Il secondo, ossia colui che prima ha detto no e poi è andato.
Gesù con una semplice parabola, una semplice storiella, ha messo a nudo le autorità religiose dell’epoca probabilmente senza che costoro nemmeno se ne rendessero conto. La sua spiegazione è illuminante: non conta l’esteriorità, non conta quello che si dice, come ci si presenta agli occhi esterni; contano i fatti: conta quello che concretamente si fa. Il primo figlio dice che obbedirà al comando paterno, ma poi, senza rimorsi, non obbedisce. La faccia esterna è limpida, ma il cuore si è sporcato con la disobbedienza.
Il secondo disobbedisce, ma poi si rende conto dell’errore, ne prendo atto, se ne pente e lo corregge concretamente ubbidendo all’ordine del padre e andando dunque a lavorare.
Il comportamento del primo figlio è del tutto accostabile alle autorità religiose dell’epoca, che di lì a poco avrebbero arrestato, torturato e ucciso Gesù. Di fronte al popolo e nelle loro cerchie si mostravano impeccabili, integerrimi, senza macchia, perfetti conoscitori e facitori della Parola: nei fatti erano il contrario. La loro conoscenza della Parola si limitava spesso ad una adesione esteriore, finalizzata a farsi vedere migliori degli altri (come i farisei che digiunano nelle piazze per farsi notare, i “sepolcri imbiancati” limpidi fuori e sporchi dentro, come li definì Gesù stesso), ma il loro cuore era completamente altrove, privo della volontà di seguire il Signore per il solo desiderio di essergli sinceramente ubbidienti. La considerazione sociale e la conservazione del proprio status venivano prima dell’adesione incondizionata ai princìpi della fede: non per niente, rigettarono il Messia e lo mandarono a morire, incapaci di leggere in Lui la figura del Salvatore che le Scritture avevano preannunciato.
Ecco, per costoro le porte del regno dei cieli, dice Gesù, sono chiuse, a meno che non si pentano, come invece hanno fatto altre persone. Chi? Gli ultimi della società, i reietti, i più disprezzati. Gesù esemplifica questa categoria di individui con le due professioni che godevano forse della peggiore considerazione all’epoca: i pubblicani, ossia coloro che riscuotevano le tasse per conto dell’usurpatore romano, e le prostitute.
Ecco, dice Gesù, nonostante queste persone siano da voi considerate la feccia della società, le porte del cielo saranno per loro aperte ben prima che per voi, che siete ai vertici della vita sociale del paese. Perché? Perché quando è venuto Giovanni Battista lo avete disprezzato, non gli avete creduto, mentre prostitute e pubblicani gli hanno creduto. Non solo, aggiunge Gesù, voi avete visto le conversioni, e avete visto le opere che io ho fatto, e avete ascoltato i miei insegnamenti, ma avete continuato a disprezzare il tutto, trincerandovi nella vostra boriosità, nella vostra presunzione di sapere tutto e di aver capito tutto. Le porte del regno dei cieli, se non vi ravvedete e ammettete l’errore e agite di conseguenza, sono per voi chiuse.
La forza di quello che sta dicendo Gesù è dirompente: lo è ancor oggi, a 2000 anni di distanza, ma, appunto, l’effetto del tempo ci impedisce forse di coglierne tutta la forza rivoluzionaria: oggi, infatti, secoli di lotte politiche e sociali per fare emergere le istanze degli ultimi, dei più poveri, degli emarginati, hanno prodotto innegabilmente degli effetti positivi che ci hanno condotto, quantomeno qui in occidente, alle moderne società democratiche. Tutto questo però non aveva assolutamente avuto luogo 2000 anni fa: se eri un povero che nemmeno due soldi aveva nella borsa per sfamarsi, se eri un’ignobile prostituta, la tua voce non aveva nessuna rilevanza all’interno della società: dovevi rimanere zitto nel tuo angolo, senza che nessuno si occupasse di te, senza che nessuno rappresentasse politicamente le tue istanze o cercasse di dare dignità alla tua esistenza. Zitto, vivi ai margini e non dare nell’occhio. Tante situazioni di questo tipo, allargando il nostro campo visivo, accadono purtroppo anche oggi, ma al tempo erano la norma, erano una base indiscussa sulla quale si reggeva l’impianto della società.
Ecco, con queste parole Gesù scardina completamente questo impianto, lo distrugge e lo rivoluziona.
Sei ricco, sei famoso, sei celebre, sei stimato, hai il primo posti nei banchetti? Non mi interessa, se il tuo cuore non è con me, se non ascolti la mia Parola e non la metti in pratica con cuore sincero per fare il bene per te e per il tuo prossimo.
La tua vita è completamente ai margini, sei disprezzato da tutti, nessuno ti considera se non per vomitarti addosso la sua riprovazione? Non mi interessa: io, Gesù, ti guardo con tutt’altro occhio, con occhio completamente diverso rispetto a quello umano. Io ti amo, voglio che tu stia con me, voglio rinnovare completamente la tua vita.
Il tuo peccato macchia la tua esistenza in maniera che ritieni indelebile? Non è così: io, Gesù, sono qui per liberarti da questo peccato, per ripulirti da questo peccato. Riponi la tua fede in me, lascia il passato alle spalle, prendi la tua croce e seguimi, e non temere, perché non c’è nessun peccato che non possa essere lavato via dal sangue che ho versato con il mio sacrificio riconciliatore. La mia grazia ti basta.
Non ci sono gerarchie, redditi, prestigio sociale, nazionalità o incarichi di nessun tipo che possano fare la differenza agli occhi di Dio. Quelle sono vanità umane. Io non guardo a quello, dice il Signore: io guardo al cuore, e basta. Se vuoi seguirmi, se poni la tua fede in me, tu, che sei l’ultimo della società, diventerai il primo, nel mio regno. Il resto non conta. Pensate a quale forza potessero avere delle parole come queste nella società immobile, verticale e gerarchica che poteva essere Israele 2000 anni fa, in cui per giunta ruolo di primaria importanza rivestivano le autorità religiose, che proprio sulla base della Parola vengono pubblicamente sbugiardate da Gesù. Non mi interessa quali siano i vostri incarichi o i soldi che avete in tasca o come il resto del popolo vi guarda: se non vi ravvedete, e non credete in me e in colui che mi ha mandato, da primi diventerete ultimi, e al primo posto saliranno prostitute e pubblicani. Un effetto devastante, che scardina e rovescia tutto ciò in cui si credeva. Le autorità religiose non potevano accettarlo.
Noi sappiamo che tutto questo è verità, e allora siamo chiamati, nella nostra vita pratica, singolarmente come figli di Dio e collettivamente come fratelli in fede e membri della Sua chiesa, a riflettere su ciò che questa verità comporta nella nostra vita pratica di tutti o giorni.
Quanta importanza diamo al nostro stato sociale? Quanto riteniamo rilevante l’ascesa ai vertici nella carriera lavorativa, o quanto riteniamo rilevanti aspetti anche più banali che però possono agire, per via dell’influsso del mondo, nei nostri pensieri? Avere una macchina bella come sinonimo di status sociale elevato, o abbigliamento esclusivamente di un certo tipo? Non sto dicendo che sia un peccato avere il progetto di comprare una macchina nuova, magari più grande o più performante di quella che avevamo in precedenza, o che sia un peccato accettare un’offerta di lavoro che ci permetterebbe di avere uno stipendio più elevato di quello attuale, attenzione! Mi sto soffermando sullo spirito, sull’obiettivo reale per il quale mettiamo in opera le nostre azioni. Se ci riflettiamo, siamo tutti ben in grado di comprendere ciò che sto dicendo.
Questo vale singolarmente, come figli di Dio, ma ha una implicazione importante anche nella nostra vita comunitaria: se ci riflettiamo un attimo, in una certa misura, anche quelli tra di noi di mentalità più aperta, più progressista, possono in certe situazioni essere condizionati nel rapportarsi con le altre persone, e quindi anche con altri fratelli o sorelle in fede (specialmente se nuovi), dallo status sociale, dal modo in cui si presentano, dalla nazionalità. Non sto dicendo che lo facciamo, e che siamo di conseguenza automaticamente colpevoli di questo atteggiamento, ma che dobbiamo fare attenzione, perché in tanti casi è innegabile che la nostra mente, condizionata dalle idee del mondo in cui siamo immersi costantemente, ci porterebbe a ragionare così, ed è sbagliato. Come chiesa, seguendo le logiche umane, saremmo portati istintivamente ad accogliere con maggiore entusiasmo e trasporto un ricco imprenditore italiano che si presentasse alla nostra porta piuttosto che un disoccupato proveniente da qualche paese dell’Africa subsahariana. Scusate la brutalità e forse la stupidità dell’esempio, ma se ci riflettiamo insieme, con un minimo di onestà intellettuale possiamo capire che il rischio c’è, e dobbiamo sempre tenerlo a mente per non farlo. La visione della realtà che proviene dalle influenze del mondo ci può condizionare, ma noi abbiamo un’arma più forte tra le mani: quella della verità della Parola, da mettere in pratica ogni giorno, verità che ci dice, chiaramente e senza tanti giri di parole, che le gerarchie terrene non valgono nulla, non fanno la differenza agli occhi di Dio e, conseguentemente, non devono farla nemmeno agli occhi nostri.
Gesù, e concludo, in Matteo 19:30 ci dice:
Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi, primi.
Solo la fede in Lui fa la differenza. Teniamo questa verità sempre salda in noi nella nostra condotta quotidiana.