Sermone gentilmente condiviso da Egidio dalla Chiesa Evangelica di Fano, Via Roma.

Pensando al anno passato e il cammino della nostra vita…….

Luca 24,13-43

Gesù sulla via per Emmaus

13 Due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio di nome Emmaus, distante da Gerusalemme sessanta stadi; 14 e parlavano tra di loro di tutte le cose che erano accadute. 15 Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. 16 Ma i loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano. 17 Egli domandò loro: «Di che discorrete fra di voi lungo il cammino?» Ed essi si fermarono tutti tristi. 18 Uno dei due, che si chiamava Cleopa, gli rispose: «Tu solo, tra i forestieri, stando in Gerusalemme, non hai saputo le cose che vi sono accadute in questi giorni?» 19 Egli disse loro: «Quali?» Essi gli risposero: «Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21 Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose. 22 È vero che certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire; andate la mattina di buon’ora al sepolcro, 23 non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne; ma lui non lo hanno visto». 25 Allora Gesù disse loro: «O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! 26 Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?» 27 E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano. 28 Quando si furono avvicinati al villaggio dove andavano, egli fece come se volesse proseguire. 29 Essi lo trattennero, dicendo: «Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno sta per finire». Ed egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a tavola con loro prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro. 31 Allora i loro occhi furono aperti e lo riconobbero; ma egli scomparve alla loro vista. 32 Ed essi dissero l’uno all’altro: «Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentr’egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?» 33 E, alzatisi in quello stesso momento, tornarono a Gerusalemme e trovarono riuniti gli undici e quelli che erano con loro, 34 i quali dicevano: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». 35 Essi pure raccontarono le cose avvenute loro per la via, e come era stato da loro riconosciuto nello spezzare il pane.

=(Mr 16:14-18; Gv 20:19-23, 24-29) Mt 28:16-20; At 1:2-3; 1Co 15:5

36 Ora, mentre essi parlavano di queste cose, Gesù stesso comparve in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» 37 Ma essi, sconvolti e atterriti, pensavano di vedere uno spirito. 38 Ed egli disse loro: «Perché siete turbati? E perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi, perché sono proprio io! Toccatemi e guardate, perché uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che ho io».

40 E, detto questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ma siccome per la gioia non credevano ancora e si stupivano, disse loro: «Avete qui qualcosa da mangiare?» 42 Essi gli porsero un pezzo di pesce arrostito; 43 egli lo prese, e mangiò in loro presenza.

Introduzione

Quello dei discepoli di Emmaus è certamente uno fra i brani più suggestivi e, per certi versi, più aderente alla nostra realtà di persone in cammino, certamente con molte certezze, ma spesso vittime di dubbi, perplessità, interrogativi e desideri.

Proviamo dunque a tentare una rilettura del testo cercando di attualizzare l’annuncio e al tempo stesso cogliendo gli elementi principali che favoriscono una comprensione, una interiorizzazione e quindi una profonda e autentica assimilazione del messaggio teologico che esso contiene.

Delusione, dubbio, incertezza

Nel giro di una settimana a Gerusalemme è capitato di tutto. Gesù è stato accolto in maniera trionfale, acclamato come un re; ha trasmesso il comandamento dell’amore; durante la cena per la Pasqua ha rivelato il valore del servizio con la lavanda dei piedi, ha garantito la sua presenza reale spezzando un pane e versando del vino; è stato arrestato; ha sopportato tradimenti e rinnegamenti; è stato arrestato, processato, condannato a morte, trafitto su una croce, sepolto… E basta. Tutto è finito. Nel giro di una settimana sono sfumati progetti, speranze e illusioni tessuti pazientemente in tre anni di sequela fedele e attenta. Tutte le cose che abbiamo costruito, per le quali ci siamo spesi, per le quali abbiamo sudato, lottato e pianto, per le quali abbiamo anche rischiato, ci siamo esposti, sono definitivamente sigillate e oscurate dietro quella grande pietra rotolata contro l’entrata di quel sepolcro nuovo, scavato nella roccia. Sembra di sentirli: “…che delusione… e chi se l’aspettava… lasciamo perdere, andiamo via… Basta, torniamo ad Emmaus!”.

Sono i discorsi di due persone che, dopo aver vissuto una esperienza affascinante ed esaltante con Gesù, si ritrovano soli, abbandonati, sconfitti e decidono di abbandonare il “cuore” di questa vicenda per dirigersi verso il definitivo ritorno alla realtà di prima, al quotidiano di ogni giorno.

Gesù si fa compagno

A questo punto, se non conoscessimo l’esito della vicenda e se dovessimo completare la storia con i nostri sistemi, è facile intuire le reazioni: “…e fate come volete… pazienza… peggio per voi… siete grandi e vaccinati… arrangiatevi…”.

C’è qualcuno che non la pensa così. “… Gesù in persona si accostò e camminava con loro” (v. 15b) e non perché “è togo” e gli piace mettersi in mostra e affermare la sua supremazia, tant’è che “…i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (v. 16). E’ lui che prende l’iniziativa e soprattutto cammina al loro fianco, si fa compagno di quella strada, di quella determinata fase del loro cammino.

Certamente – e ce lo rivela l’originale del testo greco – il loro discutere e discorrere era visibilmente animato, tanto che è facile per lo sconosciuto permettersi di domandare loro: “Ma di che cosa state parlando così calorosamente?”. Anche qui, con il nostro stile poco aperto al dialogo, verrebbe voglia di sostituirci alla risposta dei due discepoli: “Ma cosa vuoi? Fatti i fatti tuoi!”. E forse, dopo che essi rispondono: “Di quanto è capitato a Gerusalemme in questi giorni” ed egli incalza: “E che cosa è successo?”, non verrebbe voglia di rispondere: “Ma scusa, dove vivi? Dove hai la testa?”. Invece è talmente forte la ferita che sentono dentro, la sensazione di essere stati ingannati, che essi sentono il bisogno di sfogarsi. D’altronde chiunque avrebbe convenuto con loro sull’assurdità della vicenda, quindi non esitano a raccontare e esprimere tutta la loro delusione.

E questo si coglie dai verbi che utilizzano: fu profeta grande… speravamo fosse lui a liberare Israele… I discepoli avevano i loro progetti e le loro speranze; certamente, anche sulla scia delle idee promosse dagli zeloti, ai quali era legato uno di loro, che ritenevano che la liberazione dovesse esprimersi con atti militari e tendere alla ricerca della prosperità economica e del benessere materiale. Invece Gesù non solo è condannato a morte, ma alla morte in croce, infamante, riservata ai malfattori. Questo non rientra nei loro progetti.

Anche noi abbiamo desideri, progetti, speranze cui ci aggrappiamo con tanta passione, senza considerare che alcuni accadimenti possono rivelarci che esiste un progetto di Dio, diverso dal nostro, che naturalmente non possiamo prevedere o preventivare, più grande dei nostri pensieri. Per questo non riusciamo a pensare che possa essere più bello, più utile, più entusiasmante per noi e più capace di fare fiato e speranza. Certo, non è facile aprirsi e abbandonarsi al progetto di Dio e al mistero che lo accompagna. Ma per cosa pensate che Gesù “…si accosta e cammina con noi”? Non certo per una sterile comprensione affettiva o per assecondare delusioni o incomprensioni. Egli è la via, la verità e la vita. Per questo cammina con noi: per condurci sulla via; per questo ci spiega le scritture: per portarci alla verità; per questo spezza il pane: per donarci la vita.

Il viaggio da Gerusalemme a Emmaus è, molto emblematicamente, il viaggio della vita, perché lo potremmo definire il viaggio della delusione. Questi due discepoli sembrano vivi, parlano, discutono, ma in realtà è come fossero morti, perché sono radicalmente delusi. La delusione è un’esperienza molto seria e, diciamolo pure, molto difficile, forse la più difficile della vita. Accade di sentire persone che dicono “almeno non avessi sperato”, perché è meglio non sperare che sperare e rendersi conto che dietro la speranza c’è la delusione. Noi accettiamo che la vita in qualche cosa ci deluda, ma a poco a poco, se la delusione diventa troppo grande e prende la misura della vita stessa, arriviamo a quel limite che è la soglia suprema di sopportazione e concludiamo che la vita è una delusione. Quando si arriva a questa situazione irreversibile si è capaci di tutto, anche del suicidio.

I due discepoli avevano giustamente sperato tutto da Gesù, una persona degna di ispirare non una illusione ma un ideale tale da coinvolgere tutta la vita. Essi avevano sicuramente puntato tutto su lui; e la città che era diventata allora la città della gioia, dell’incontro, della verità, dell’amico, di lui insomma, a un certo punto diventa l’insopportabile città da cui non c’è altro da fare che andarsene.

Un cammino della delusione dunque, la stessa che tanto o poco abbiamo incontrato tutti, si trattasse o no di Dio. Bisogna avere il coraggio di affermare che la delusione è un’esperienza necessaria se vogliamo veramente incontrare Dio, perché senza la delusione continueremmo a pensare che la gioia e Dio stesso abbiano la nostra misura, e da questa misura non potremmo mai uscire. Solo quando ci accorgiamo che Dio è molto più grande e più buono di quello che noi pensiamo e che questa grandezza e questa bontà ci superano e devono sradicarci dalle idee e dalle abitudini che abbiamo, solo allora possiamo incominciare a dire che abbiamo conosciuto Dio. Ricordiamo che Gesù, affrontando la grandezza del Padre al Getzemani, disse: “se fosse possibile mi terrei la mia misura, non vorrei la tua misura, però capisco che la tua misura, Padre, è quella giusta e, perciò, venga”. Così dunque dobbiamo, in qualche modo, essere scarnificati delle nostre illusioni per incontrare il Signore.

Il cammino della delusione sarebbe probabilmente finito male per questi due uomini, così totalmente delusi nella loro profonda speranza religiosa. Ma il Signore si è fatto presente; questo è di fondamentale importanza. Gesù, ci cerca nella nostra delusione o nei momenti difficili, precisamente quando la fede avrà gli occhi offuscati e tutto quello che si saprà dire, commentando una vicenda della vita, è “speravamo”, ma col tono di chi ha inutilmente sperato.

Quando insomma ci accadesse di volgere le spalle a Gerusalemme (che vuol dire volgere le spalle alla capacità di sperare e talvolta perfino alla capacità di credere e di pregare, alla voglia di essere fedeli a Dio) perché, in fondo, ci vien da pensare che non ne valeva la pena e siamo stati delusi, sarà il Signore allora, pieno di amicizia, a venire al nostro fianco. È bene sapere prima che lui insiste e non ci abbandona mai, perché al momento giusto non ce ne accorgiamo. Dunque, sul cammino della delusione che scende nella vita e l’avvolge, lui c’è.

Gesù si affiancò a quei due poveretti e fece la cosa più bella che Dio sapesse mai fare nella vita di un uomo: svelò che nelle cose che erano accadute c’era un senso. La domanda più preziosa che Gesù fa a questi due è proprio questa: “ma non sapevate che…”. La delusione ci dà la sensazione che ogni senso sia perduto, e per noi che viviamo così poco e siamo povere creature, è facile arrivare alla conclusione che non c’è senso. Queste non sono parole che si dicono facendo della filosofia, ma in genere si sospirano, si piangono nel cuore. 

L’uomo di oggi arriva molto presto alla conclusione che non c’è senso, e che allora tanto vale, questa vita, viverla come una cosa senza senso. Noi siamo, senza accorgercene, in una sottile cultura del disprezzo di tutte le cose; quando non c’è più senso in una cosa la si butta, la si lascia morire, la si uccide. È Gesù la verità; il grande regalo che fa a questi due, che fa a noi, è affermare che il senso c’era, perfino nell’assurdo che non doveva capitare. È molto confortevole quando lo spirito di Dio ci convince, come sa fare lui, che c’è senso. Nelle cose che non capiamo, nelle cose che patiamo, nella monotonia di ogni giorno, in tutto quell’insieme che ci fa appunto protestare, c’è senso; il cuore dell’episodio di Emmaus è qui: passare dall’ignoranza alla conoscenza della verità, che vuol dire: mi rendo conto che c’è senso nella tua morte e che, se c’è senso nella morte di Gesù, c’è senso in tutto.

Ci vuole coraggio a dire che c’è senso nella morte di Dio, non perché è una morte, ma perché Dio sa infondere il senso anche nella e oltre la morte. Per i piccoli, per gli innocenti, per i traditi, il senso rimane. Le persone impregnate di questa verità non devono avere il minimo dubbio: c’è senso anche quando il nostro cuore piange, la nostra mente si ribella e restiamo bloccati dalle situazioni. Il suicidio non è la soluzione giusta.

Dunque Gesù dice che c’era senso e, dicendo che c’era senso, scalda il loro cuore che non sapeva più battere, credere e sperare. E loro si ravvivano, arde il loro cuore, cominciano a ritrovare coraggio, a sentirsi invogliati verso di lui; era questo che lui voleva. Poco per volta nel cuore dell’uomo è un desiderio nuovo, è un’intuizione diversa, è il sospetto che valga la pena ritornare a Dio. Anche per le persone che sono sulla frontiera tra Dio e non-Dio o tra non-Dio e Dio, Dio c’è, non diamoli mai per perduti, insistiamo molto a pregare perché a poco a poco il sospetto che Dio ci sia e che valga la pena tornare a lui con umiltà le prenda, le lusinghi, le consoli. 

Essi, dunque, sedettero col Signore ed Egli si svelò loro nella frazione del pane. Lo riconobbero e divenne invisibile. C’è una lezione in tutto questo. Nasce in questi uomini, una volta per tutte, la tipica tensione della fede, che è una tensione dal visibile all’invisibile. Essi, forse, vedranno ancora per qualche momento Gesù, ma ad ogni modo hanno visto quel tanto che basta per sapere che la fede non vede, sanno che egli c’è e d’ora in avanti cominceranno a vivere secondo quello che non vedono, non secondo quel che vedono. Questa è la sfida della fede.

Non sono pochi coloro che oggi guardano con pessimismo e delusione. 

Vorrebbero una Chiesa viva e dinamica, la vedono immobile, la sentono spesso triste e noiosa.

È facile la tentazione dell’abbandono e della fuga. Alcuni l’hanno fatto da tempo, altri se ne stanno allontanando poco a poco, «in punta di piedi e senza far rumore»: senza che quasi nessuno se ne accorga si va spegnendo nel loro cuore l’affetto e l’adesione di altri tempi.

Il nostro peccato più grande sarebbe «fuggircene a Emmaus», abbandonare la comunità prendendo ognuno la propria via, immersi nella delusione e disingannati.

Dobbiamo imparare la «lezione di Emmaus». La soluzione non consiste nell’abbandonare la Chiesa, ma nel riprendere il nostro cammino chiedendosi di lui e approfondendone il messaggio, là il Risorto si fa presente. È facile che un giorno, ascoltando il Vangelo sentano di nuovo «ardere il loro cuore». Dove dei credenti si incontrano, là si trova il Risorto che nutre le loro vite. È facile che un giorno «si aprano i loro occhi» e lo vedano.

Per quanto morta possa apparire ai nostri occhi, in questa Chiesa abita il Risorto.

Concludendo, come comunica Gesù, come si fa conoscere? Con un desiderio, quello di rimanere con noi. In che modo? Prima di tutto facendoci sfogare, poi spiegandoci il senso delle cose non da un momento all’altro, ma lungo la via, quindi mentre viviamo, andando al cuore, all’essenza vera del nostro essere, della nostra umanità. Poi, aprendoci gli occhi. È il momento della consapevolezza, che è per tutti. Ognuno nella vita ha avuto o avrà il suo appuntamento. Bisogna crederci! E così, come nessuno si è mai ubriacato leggendo l’etichetta del vino, nessuno può conoscere Gesù senza passare da un’esperienza concreta. Perché non si può credere per sentito dire. Così come non si può amare. Quei discepoli lo hanno sperimentato, se vogliamo possiamo fare altrettanto anche noi. Continuamente.

Buon anno 2020!