Luca 18:1-8
Una parabola semplice per un incoraggiamento e un ammonimento altrettanto semplici.
Andiamo a vedere cosa ci dice il testo: in prima battuta Luca, contrariamente ad altre situazioni in cui la parabola non è spiegata, ci dice fin dall’esordio quale sia la sua finalità, ossia l’esortazione a pregare sempre senza stancarsi.
Tale istruzione è poi ribadita dallo stesso Gesù, ai vv. 7-8, con una domanda retorica alla quale dà comunque una risposta: Dio non tarderà a fare giustizia a chi con timore e nel suo nome si rivolge a Lui in preghiera.
Il primo concetto lo abbiamo dunque centrato, e il testo è proprio formulato in modo tale da non lasciare equivoco alcuno: pregare, pregare, pregare.
Oltre a questo, vorrei sottolinearne un altro che è strettamente collegato al primo: il concetto di giustizia secondo Dio in rapporto a quello di giustizia secondo gli uomini.
Proprio così, poiché questa parabola è volutamente formulata in modo da tracciare una distinzione, una dicotomia netta tra le due. Vediamo perché: innanzitutto, il protagonista della parabola non è un uomo qualunque, non è un imprecisato ricco o proprietario terriero, ma è proprio un giudice, ossia colui che amministra la giustizia. Questo giudice ha caratteristiche precise: non si curava di Dio e non rispettava nessuno. In sostanza, un giudice che non si curava della giustizia, quantomeno della giustizia secondo ciò che Dio ha definito essere tale.
Di fronte a lui non stava una persona qualunque coinvolta in una disputa legale, bensì una vedova.
Abbi cura dell’orfano e della vedova, è scritto in tanti passi dell’Antico Testamento, e non a caso, poiché nella società del tempo, alla luce della condizione lavorativa, e quindi economica, e socio-politica, le donne rimaste senza marito, e quindi senza reddito, erano la categoria più vulnerabile, estremamente a rischio di povertà. Mai come in questo caso dunque, di fronte ad una disputa legale pendente, ottenere giustizia sarebbe stato per lei necessario.
In questa situazione non ci viene specificato quale fosse l’argomento del contendere, ma, considerando l’esito finale e l’insegnamento della parabola, nonché la natura appena descritta delle parti chiamate in causa, possiamo e dobbiamo dedurre che la vedova avesse ragione e che pertanto, meritasse che fosse emessa una sentenza a proprio favore.
Il giudice come reagisce? È scocciato, non viole prendersi cura della causa, si interessa solo di se stesso, non ha né professionalità, né riguardo per il prossimo. Non ha voglia. Il problema della vedova non è un suo problema. Egli è senza possibilità di smentita, come ci dice Gesù al versetto 7, un giudice ingiusto.
Come reagisce la vedova? Ella è insistente. Sa di essere nel giusto, e sa che nella sua condizione non può permettersi di lasciar correre, di procrastinare, o di attendere le ingiustizie altrui.
Come finisce la vicenda? Finisce che il giudice, senza minimamente ravvedersi dal suo comportamento errato, decide in ultima istanza di mettere fine alla disputa legale dando ragione alla vedova solo perché non voleva che la donna gli “rompesse la testa”, da intendersi, presumiamo, metaforicamente.
L’insistenza della donna ha dunque portato alla vittoria e all’affermazione del principio di giustizia.
Se dunque, ci dice Gesù, l’insistenza della vedova ha portato giustizia presso un giudice ingiusto, come potete dubitare che la vostra giusta causa non sia presa adeguatamente in carico dal giusto per eccellenza, ossia Dio?
Il suo insegnamento è dunque riassumibile in questi due concetti chiave, già citati all’inizio:
1- Chi conosce Gesù, chi è un suo eletto, come scritto al v. 8, non deve stancarsi di pregare giorno e notte a Lui, con piena fiducia! Se un giudice ingiusto ha dato ascolto alle istanze della vedova, come può il Padre che ci ama di un amore perfetto non dare ascolto alle istanze dei suoi figli?
2- Dio è un Padre giusto, che ha lasciato agli uomini un concetto di giustizia che è stato da questi ultimi corrotto. Non possiamo confidare nella giustizia secondo gli uomini, non possiamo porre le nostre fondamenta su dottrine di uomini, perché sono corruttibili per definizione. Solo la Parola di Dio è un tesoro incorruttibile.
Questi due insegnamenti messi assieme devono guidarci ad un terzo, che ne è la diretta conseguenza: se Dio ci ha insegnato, tramite la sua Parola di verità e tramite l’insegnamento di Gesù, il concetto vero di Giustizia, quello che viene da Lui, quello che non può essere corrotto dall’uomo, allora è proprio a questo concetto di giustizia incorruttibile che ci dobbiamo appellare quando rivolgiamo a Lui la nostra preghiera. Questo è il senso dell’esortazione “chiedete in preghiera NEL MIO NOME”. “Nel mio nome” non è una locuzione formulare che mettiamo lì tanto per avere una frase di chiusura da recitare al termine delle preghiere. Chiedere qualcosa in preghiera “nel nome di Gesù” significa chiederlo alla luce della giustizia di Dio. Per essere sempre più affini a questa giustizia occorre allora apprenderla, leggendo e studiando la sua Parola, e metterla in pratica!
Parafrasando le istruzioni di Gesù che possiamo trarre dai suoi insegnamenti, o quelle di Paolo nelle sue lettere, sappiamo che invidie, gelosie, cupidigie, avidità, maldicenze e sentimenti simili non vengono da Dio, ma dalla carne, e non sono quindi un frutto della giustizia di Dio!
Rivolgere a Dio preghiere in cui sono presenti simili sentimenti verso il prossimo non è pregare “nel suo nome”, e una preghiera del genere non può essere accettata da Dio.
Pregare perché possiamo avere successo in un dato ambito della vita mettendo in cattiva luce un nostro rivale che ci sta umanamente antipatico non è pregare nel suo nome.
Pregare di avere successo in una impresa economica quando magari si stanno adottando sotterfugi fiscalmente irregolari non è pregare nel suo nome.
Pregare per l’insuccesso di una persona che non ci va a genio non è pregare nel suo nome.
So che potrebbe sembrare scontato, ma forse, se andiamo a scavare nel profondo, non è detto che lo sia. Riflettiamo dunque sulla nostra condotta e sulla nostra preghiera.
Ricordiamoci altresì, tornando al tema del l’insistenza, di come Dio, pur sapendo esattamente di cosa abbiamo bisogno ancor prima che glielo chiediamo, abbia il desiderio di coltivare una relazione profonda con noi, attraverso il dialogo che si stabilisce con la preghiera. Pregare e ripregare per un soggetto che ci sta particolarmente a cuore aiuta a fortificare questa comunione, aiuta a sentire vicinanza con Dio, e ci aiuta a comprendere come sta agendo nella nostra vita, in relazione al soggetto per cui lo stiamo pregando e non solo. Inoltre, possiamo stare tranquilli: Dio è un giudice ed ascoltatore giusto, e ci ascolta con piacere, perché ci ama di un amore perfetto! Non pensiamo di disturbarlo, o che rischiamo di rompergli la testa rivolgendoci di continuo a Lui! Non è cosi, non lo infastidiamo di certo!
Più un soggetto ci sta a cuore, più ci sembra umanamente irrealizzabile, più siamo chiamati a chiederglielo con fiducia in preghiera, pregando, ringraziando e stando attenti ad ascoltare ciò che Dio ha da dirci o mostrarci in risposta. È un percorso fondamentale per conoscerlo e coltivare comunione con lui.
Gesù chiude questa narrazione dicendo: “Quando il figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”
Ecco, Rivolgersi costantemente in preghiera a Dio con piena fiducia nelle questioni che ci stanno a cuore è uno di quegli strumenti basilari e imprescindibili che ci permette di avvicinarci sempre di più a poter rispondere affermativamente a una domanda del genere.