Luca Luca 14:1-6.  Gesù entrò di sabato in casa di uno dei principali farisei per prendere cibo ed essi lo stavano osservando, quando si presentò davanti a lui un idropico.  Gesù prese a dire ai dottori della legge e ai farisei: “E’ lecito o no far guarigioni in giorno di sabato?” Ma essi tacquero.  Allora egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedo.  Poi disse loro: “Chi di voi, se gli cade nel pozzo un figlio o un bue, non lo tira fuori in giorno di sabato?”  Ed essi non potevano risponder nulla in contrario.

Cos’è l’idropisia? Le mie competenze mediche sono davvero nulle, per cui mi limito a riportare ciò che ho trovato da fonti attendibili dopo una breve ricerca. Per idropisia si intende l’accumulo di liquidi corporei in alcune parti del corpo, per problemi spesso di natura vascolare (legati dunque alla circolazione). Un’altra causa è quella della malnutrizione. Questa situazione provoca dei rigonfiamenti evidenti nel corpo ed un assottigliamento del tessuto cutaneo. Il termine idropisia oggi è poco usato, e quando compaiono i sintomi si parla di edema. Nelle forme più acute e quindi più gravi, che possono condurre alla morte, si assiste ad edemi che vengono a ricoprire quasi la totalità del corpo: in tal caso la patologia prende il nome di anasarca. Non lo sappiamo, ma forse l’uomo guarito da Gesù era proprio in questa condizione.

Andiamo a vedere cosa accade in questo breve brano: è un giorno di sabato, quindi il giorno del riposo sacro per gli Ebrei, giorno in cui non si può svolgere qualunque lavoro ordinario. Gesù entra in casa di un fariseo per prendere del cibo, quindi in casa di uno dei suoi più aspri oppositori: nonostante ciò, Gesù non discrimina, accoglie ciò che gli viene donato e lo fa nonostante sia a conoscenza del fatto che, varcando quella soglia, tutti siano lì ad osservarli pronti a giudicare ogni sua minima mossa.

L’occasione presto giunge: entra, appunto, un idropico. Gesù capisce subito dove i suoi oppositori vogliano andare a parare ancor prima che Lui agisca: non per niente, avevamo letto un episodio estremamente simile, in cui Gesù aveva analogamente agito, in Luca 6:6-11.

Anche nel brano letto oggi, Gesù sa che di fronte a Lui c’è una persona che sta male, che crede in Lui e che ha bisogno di Lui, e, dall’altro, dei legalisti che sostengono che di sabato non si debba fare nulla di nulla perché è il sacro giorno del riposo comandato da Dio. Non fare nulla, significherebbe, secondo tale dottrina, astenersi persino dal fare il bene per il prossimo.

Il ragionamento con cui Gesù vuole mettere a nudo l’ipocrisia e la contraddizione di questi uomini è la seguente: se Dio è amore, se siamo chiamati ad amare Lui con tutto il nostro cuore e il nostro prossimo come noi stessi, come può Dio volere che ci asteniamo dal fare del bene a qualcuno quando ne abbiamo la possibilità? Come può il rispetto di una prescrizione festiva bloccare le dimostrazioni di amore verso il prossimo, che stanno proprio al centro della dottrina di Dio? Non è una evidente contraddizione? Gesù sa che è così, e vuole esporre la contraddizione ai farisei con una semplice domanda: si può guarire di sabato? I farisei, incartati in questa evidente contraddizione, vorrebbero rispondere che non si può, poiché è sabato, ma si rendono conto che Dio non può ostacolare il bene; di conseguenza, fanno quello che spesso si fa quando non si sa cosa rispondere: stanno zitti. Gesù prende questo riscontro come una resa, e agisce: lo avrebbe fatto ugualmente, ma la mancata risposta dei Farisei è una vittoria ancor più schiacciante.

In pochi attimi, l’idropico è guarito e riacquisisce piena salute. È sabato, giorno festivo, e festa grande sarà per l’uomo che ha incontrato Gesù e ne è stato guarito. Giorno di rabbia sarà invece probabilmente per i Farisei, che non riescono a contrastare l’evidente verità e allo stesso tempo non vogliono ammettere di essere in errore.

Gesù negli ultimi due versetti rincara poi la dose: se vi cade un figlio, o se vi cade un bue, in un pozzo, di sabato, aspettate che tramonti il sole prima di intervenire o intervenite subito? Tutti i presenti sanno benissimo che interverrebbero: tuttavia, la lettera della prescrizione richiederebbe di non intervenire, lasciando con tutta probabilità morire un animale, o, assai peggio, un figlio. Assurdo. Come può Dio volere tutto ciò?

Questa storia semplice ci rivela tanto sull’attenzione che occorre costantemente fare sull’equilibrio da trovare tra il rispetto delle prescrizioni che la Parola ci dà e il dovere di evitare divisioni e scandali poiché si approda nel legalismo, ossia nel voler far prevalere logiche di mera ragion pratica sul principio dell’amore per Dio e, di conseguenza, per il prossimo, che deve condurre ogni chiesa.

Questo deve condurci ad una riflessione condivisa come chiesa: cosa devono fare le chiese

  • Lodare Dio
  • Incentivare la comunione tra fratelli
  • Portare la Parola di Dio a chi non la conosce

Attenzione: io ho detto chiese, ma noi sappiamo bene che la chiesa è una, universale, la sposa di Gesù. Questo significa che le chiese, come singole unità, sono necessariamente parte della chiesa universale, non sono dei nuclei separati gli uni dagli altri che non si relazionano tra loro o, ancor peggio, si fanno concorrenza. Non siamo aziende concorrenti o rivali, siamo parte di un unico corpo.

Ecco, sulla base di questo assunto, ragionare su basi legalistiche può portare danni grossi, e ad allontanarci dunque da ciò che Dio ci ordina.

La comunione tra chiese deve essere coltivata, il desiderio di unità deve essere più forte dei contrasti dottrinali.

Ciò significa che vale tutto? Assolutamente no! Dei limiti devono sussistere, e sono i limiti che separano una chiesa sana, con tutti i difetti del caso, da una chiesa malata.

Se una chiesa predica che chiunque crede in Gesù sarà salvato, che siamo salvati per mezzo della sua grazia, che il suo sangue ci ha lavato dai peccati dai quali nessun altro avrebbe potuto lavarci, che siamo salvati per fede e non per opere, che siamo giustificati per mezzo della fede, che Gesù è il figlio di Dio morto e risuscitato senza macchia di peccato per salvarci, che Dio è amore, che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo, che la Bibbia è l’unica Parola e l’unica autorità spirituale e che nella chiesa non può esservi spazio per chi predica un Vangelo diverso in cui hanno spazio pratiche del mondo esplicitamente condannate dalla Parola, quella, con tutti i suoi difetti, con tutti i suoi limiti, è una chiesa sana, una chiesa che predica il Vangelo e che cerca di metterlo in atto.

Queste sono le fondamenta imprescindibili: del resto si può e si deve discutere, ma è secondario. Secondario non significa non importante: secondario significa che non può e non deve portare a divisioni e rotture di comunione, a dispute ed allontanamenti. Dio vuole una chiesa unita intorno ai princìpi fondamentali della fede cristiana, non vuole divisioni intorno a dispute dottrinali di secondo piano.

Non dobbiamo accettare che le chiese si dividano per questioni non di primaria importanza come l’uso del calice o dei bicchieri per la santa cena, o per questioni dottrinali riguardanti l’escatologia (come quella sul rapimento della chiesa), o anche questioni più spinose come la dottrina della predestinazione. Si possono avere idee diverse, si può argomentare, ci si può confrontare, ma non si devono fomentare divisioni per via di questioni di questo tipo. Le chiese possono avere identità diverse, posizioni e linee diverse su questioni, appunto, secondarie, ma non parlarsi o non accettare di collaborare per progetti di evangelizzazione condivisa, ad esempio, a causa di queste differenze è un assurdo. Un errore che non va commesso.

Ancora peggio, e stendiamo un pietoso velo, è ciò che accade quando vengono eretti muri per dispute di carattere personale che spesso permangono vive anche dopo decenni. Non ci spendo parole ulteriori perché non serve. Si commentano da sole. Quando una questione individuale prevale sul ruolo che un’organizzazione collettiva ha di fronte a Dio, è evidente che qualcosa non va.

Quando le chiese si incartano in queste questioni, quando restano paralizzate o si rompono o si isolano per seguire questioni secondarie, stiamo accettando che la chiesa segua l’esempio di coloro che sostengono che Gesù non avrebbe dovuto guarire l’idropico in giorno di sabato perché le prescrizioni della legge imponevano il riposo di sabato.

Vogliamo che la nostra chiesa, e di conseguenza noi al suo interno, perché la chiesa è fatta di persone, sia una chiesa che opera per guarire malati in giorno di sabato o una chiesa che li mandi via nella stessa condizioni di prima perché il legalismo impone di stare fermi? Credo sia evidente cosa vogliamo e dobbiamo essere.

“Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato” (Giacomo 4:17).

Se ci dividiamo o non collaboriamo per via di dispute dottrinali secondarie o denominazioni diverse, stiamo perdendo opportunità che il Signore ci dà affinché le raccogliamo. Ne abbiamo la responsabilità: se possiamo guarire, dobbiamo guarire: non c’è sabato che tenga. È un nostro dovere, e va messo in atto prima di tutto il resto.

Dio è amore, Dio ci chiede di amarlo con tutto il nostro cuore e con tutte le nostre forze, e di amare il prossimo come amiamo noi stessi. Siamo chiamati ad amare Dio, a conoscere la sua Parola, a metterla in pratica e a coltivare la comunione con Lui; siamo chiamati ad amare gli altri come Lui ci ha amati per primo; siamo chiamati ad amare noi stessi perché siamo preziosi agli occhi di Dio. L’amore è al centro della nostra vita come credenti, ed è al centro della vita delle chiese. L’amore così declinato prevale sulle altre dispute, su tutte le altre questioni. Se non lo facciamo prevalere, stiamo disobbedendo, stiamo lasciando il malato senza guarigione perché è giorno di sabato, e il Signore non vuole questo da noi.

Possano queste parole essere un monito chiaro e un incoraggiamento per Tutti noi.